Il numero delle attività aumenta mentre emergono le prime tendenze, dall’agave alle bottiglie sostenibili.
Fra le novità che arrivano dagli Stati Uniti, quella delle microdistillerie – il cosiddetto craft distilling – sembra intenzionata a prendere sempre più piede in Europa, Italia inclusa. Se l’Inghilterra ha sorpassato a destra la Scozia per numero di distillerie al ritmo di un’apertura ogni settimana, la Francia ha oltrepassato le 250 attività. I numeri italiani sono di minore entità – per il 2022 si parla di 20 nuove distillerie – ma la crescita è rapida. Infatti fino al 2018, prima de Covid, le licenze totali esistenti nel Belpaese erano 130 ma ne risultavano operative solo una settantina: le distillerie quindi, considerando l’anno scorso, sono aumentate quasi del 30%. A conferma dell’hype che si sta creando attorno al settore arriva il successo della seconda edizione di “Distillo”, la fiera di Milano incentrata sugli strumenti e gli impianti di distillazione. Durante l’evento, più di un quarto dei partecipanti interessati ha espresso la seria intenzione di aprire una distilleria oppure ha detto di essersi già avviato in quella direzione. Gli organizzatori della manifestazione hanno ipotizzato che nello Stivale possano materializzarsi 200 nuove attività entro sette anni. Così le distillerie in Italia hanno già una loro piccola storia, iniziata tra le valli in mezzo alle Alpi, per poi diffondersi tra le realtà produttrici più grandi. E ora si affermano le prime tendenze. Tra le più recenti una vede protagonista un ingrediente emergente: è l’agave, presente soprattutto nella tequila come base. L’altro filone riguarda le confezioni sempre più attente al design e alla sostenibilità, dal vetro riciclato alle etichette carbon neutral, capaci di compensare le emissioni di CO2.
Le distillerie in Italia hanno già una loro piccola storia, iniziata tra le valli in mezzo alle Alpi, per poi diffondersi tra le realtà produttrici più grandi. E ora si affermano le prime tendenze