Nonostante il mercato europeo sia ormai regolamentato, persistono problemi di contraffazione del prodotto italiano, spacciato per originale ma realizzato con prodotti scadenti
La grappa ha ottenuto ormai da anni il riconoscimento europeo di indicazione geografica registrata, eppure resta aperto un contenzioso sulle zone di imbottigliamento. A partire dal 2016 la grappa può essere imbottigliata fuori dalla zona di produzione, vale a dire l’Italia, esclusivamente se spedita all’estero come prodotto finito. Al consumatore è così garantito che il prodotto è originale del produttore e non ha subito alcuna trasformazione.
“Esiste però un problema di contraffazione massiva, di prodotti venduti come originali, ma che invece non lo sono: è un fenomeno abbastanza diffuso a livello internazionale, soprattutto su mercati più poveri. Esistono bottiglie contraffatte anche di prodotti italiani, non sono altro che alcol scadente imbottigliato con un’etichetta fuorviante o che riporta dati errati”, spiega Davide Terziotti di Craft Distilling.
Il prodotto italiano attrae tutti i mercati per via del made in Italy, ma nonostante in Europa sia tutto protetto, ci sono mercati deregolamentati dove prodotti scadenti vengono spacciati come prodotti italiani.
“In passato, gli operatori di altri Paesi potevano acquistare grandi quantitativi di grappa italiana allo stato sfuso, ad alta gradazione alcolica, che poi venivano nuovamente rielaborati nei loro stabilimenti con aggiunte di zucchero, diluizioni con acqua e altre operazioni. Il consumatore, quindi, pensava di acquistare grappa di produzione italiana, ma invece si trattava di un prodotto di elaborazione fatta lontano dalla zona d’origine”, continua Terziotti.
Vini e alcolici contraffatti costano ogni anno, alle aziende europee, perdite di oltre 5 miliardi di euro. Il principale rischio delle eccellenze italiane è di essere snaturate a causa di impieghi anomali, effettuati in territori molto lontani dalla zona d’origine.