Come incide sui distillati la filtrazione a cui sono spesso sottoposti per prevenire la formazione di precipitati
Nel processo produttivo del distillato, tra la fase di diluizione e quella di imbottigliamento si inserisce la filtrazione, indispensabile per la chiarifica del prodotto da oli vegetali, sostanze formate da acidi grassi, proteine e esteri. Questa, abbinata al raffreddamento, si applica su distillati di minore gradazione alcolica, per evitarne l’intorbidamento dovuto alla condensazione di oli vegetali, poco solubili in acqua ma molto solubili in alcool, che la distillazione si trascina dietro insieme a esteri, fenoli, aldeidi, chetoni e tannini.
Sebbene la velatura sia reversibile, per cui riportando tutto a temperatura ambiente sparirà, i parametri di consumo apprezzano poco questi intorbidamenti ed ecco che entra in gioco la filtrazione a freddo, in etichetta “chill filtred”. In pratica il distillato si fa passare attraverso un impianto di raffreddamento a temperatura di esecuzione intorno a 0°C – qualche casa produttrice riduce il valore anche di una decina di punti per estremizzare la stabilizzazione – e il tutto si passa poi attraverso gli strati filtranti. L’operazione è invasiva e spesso compromette le caratteristiche qualitative organolettiche del distillato. Esiste però una soglia di gradazione sopra la quale si riduce di molto il rischio di instabilità del prodotto. I 46 gradi alcool, spesso riportati in etichetta, non sono casuali. A questo punto occorre dire che da alcune prove fatte sui campioni filtrati a freddo e non, le differenze riscontrate sono state principalmente legate alla presenza di coaguli piuttosto che di alterazione di aromi. È anche vero che il processo stabilizza il distillato ma rimuove anche altre sostanze che contribuiscono al suo aroma e la scelta cambia da prodotto a prodotto.
Filtrazione a freddo nei distillati: un equilibrio tra stabilità del prodotto e impatto sull’aroma